Rettificazione di attribuzione di sesso e scioglimento dell’unione civile: Corte Costituzionale

Dalla Corte di Cassazione:

STATO CIVILE.

Artt. 1, comma 26, della l. n. 76 del 2016, 31, comma 4 bis, del d.lgs. n. 150 del 2011 e 70 octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000 – Accoglimento della domanda di rettificazione di attribuzione di sesso – Automatico scioglimento dell’unione civile, senza possibilità di trasformazione in matrimonio – Contrasto con l’art. 2 Cost. – Necessità di individuare un rimedio per garantire la tutela della personalità – Sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo, ove le parti abbiano manifestato al giudice l’intenzione di contrarre matrimonio.

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 66 del 22 aprile 2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 26, della l. n. 76 del 2016, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile, senza prevedere – laddove le parti abbiano rappresentato, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio – che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

La Corte ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 70 octies, comma 5, del d.P.R. n. 396 del 2000, nella parte in cui non prevede che l’ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la predetta sospensione.

Il Tribunale di Torino, nel corso di un giudizio introdotto per la rettifica di sesso da uno dei componenti di un’unione civile, aveva sollevato la questione in ragione del contrasto della normativa censurata, oltre che con l’art. 2, anche con l’art. 3 Cost., stante la disparità di trattamento rispetto alla ipotesi, speculare, in cui il percorso di transizione di genere fosse compiuto da una coppia in origine eterosessuale e unita in matrimonio.

La Corte Costituzionale ha escluso la violazione dell’art. 3 Cost., sottolineando che «il vincolo derivante dall’unione civile produce effetti, pur molto simili, ma non del tutto coincidenti» con quelli del matrimonio, di talché l’obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto esclude la fondatezza del dubbio di contrasto con l’art. 3 Cost.

In merito al sospetto di contrasto della disciplina censurata con l’art. 2 Cost., la Corte, dopo aver rilevato che l’unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, ed è connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, ha osservato che i componenti della unione civile, ove manifestino la volontà di conservare il rapporto nella diversa forma del matrimonio a seguito dello scioglimento automatico del vincolo pregresso quale effetto della sentenza di rettificazione anagrafica del sesso di uno di essi, vanno comunque incontro, nel tempo necessario alla celebrazione del matrimonio stesso, ad un vuoto di tutela, a causa del venir meno del complessivo regime di diritti e doveri di cui erano titolari in costanza dell’unione civile. Tale mancanza di tutela entra in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce espressione.

Avuto riguardo alle differenze «di struttura e di disciplina» tra unione civile e matrimonio, la Corte, dopo aver escluso la possibilità di omologare le due situazioni, ha declinato il rimedio nella sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo per il tempo necessario affinché le parti celebrino il matrimonio, sempre che esse abbiano manifestato tale volontà davanti al giudice durante il giudizio di rettificazione del sesso, fino alla udienza di precisazione delle conclusioni, analogamente a quanto prevede per i coniugi nell’ipotesi inversa, l’art. 31, comma 4 bis, del d.lgs. n. 150 del 2011.

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